L’ozio è davvero il padre dei vizi?

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Con il termine ozio si intende l’astensione dall’attività, dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo, o anche abitualmente per indole pigra. Ma esiste anche un’interpretazione, più vicina a quella che il termine aveva in latino, dove “otium” era il tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici (cioè dai “negotia“) e che pertanto poteva esser dedicato alle cure della casa, del podere, oppure agli studi e altre attività più amene. Da qui il senso generico di periodo di quiete, di riposo, che interrompe le abituali fatiche.
Quindi, se per ozio intendiamo indolenza, pigrizia, apatia e accidia, un certo grado di parentela con i vizi lo troviamo di sicuro. Ma se guardiamo al significato più profondo e autentico, l’ozio è un momento prezioso da coltivare e anche da moltiplicare.
Qualche spunto di riflessione ce lo offrono molti personaggi. Come Robert Louis Stevenson, l’autore del romanzo “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, che scrive: «L’attività frenetica, a scuola o in università, in chiesa o al mercato, è sintomo di scarsa voglia di vivere. La capacità di stare in ozio implica una disponibilità e un desiderio universale, e un forte senso d’identità personale».
Oppure Milan Kundera: «Nel nostro mondo l’ozio è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca».
Perché, come spiga bene Victor Hugo: «Un uomo non è ozioso se è assorto nei propri pensieri; esiste un lavoro visibile e uno invisibile».
Quindi, per concludere, direi…
Per rendere la nostra vita migliore, coltiviamo ozio di alta qualità!