Il 5 ottobre 2023 ho scritto un post sulla prevedibilità dei terremoti attraverso l’astrologia.
Tra le varie valutazioni, avevo scritto: “Il 10 ottobre 2023, per fare un altro esempio che potremo verificare a breve, Marte in Bilancia e Saturno in Pesci saranno in antiscia tra loro. Inoltre, Marte sarà in quadratura a Plutone e la Luna in opposizione a Saturno. L’indicazione è però estesa all’intera Terra e non a regioni specifiche.”
A conferma del fatto che la zona geografica è difficilmente identificabile, ma il verificarsi del terremoto è più probabile, riporto i dati del 10 ottobre 2023:
– Un forte terremoto di magnitudo 5.8 è avvenuto nella zona: Jujuy Province, Argentina, il 10 ottobre 2023 a una profondità di 237 km.
– Un sisma meno forte, di magnitudo 2.7, è stato registrato a San Giorgio Piacentino, in provincia di Piacenza, a una profondità di 20 chilometri.
Adesso stiamo a vedere cosa succederà tra il 25 e il 28 ottobre.
Se guardiamo alla saggezza e alla spiritualità che avevano gli antichi popoli “barbari” (virgolettato perché intesi appunto in ottica antica, relativa all’Impero Romano) e guardiamo il risultato di oggi, possiamo tranquillamente dire che quello che si autofenisce come “occidente civilizzato e democratico” è diventato davvero un mostro. Un mostro di idiozia, di distruzione, di inciviltà. Difficile sentirsi ancora “a casa” in un luogo del genere.
Partiamo dal fatto basilare che il
termine “coraggio” compare come contrario di “paura”, ma non
fermiamoci qui e spingiamoci oltre per capire meglio. Consideriamo,
in primis, il significato etimologico di “paura”. Qui la
ricostruzione più accettata è che derivi dal latino “pavire”
ossia “battere la terra”, dalla radice indoeuropea “pau-” che
indica il senso del “battere”.
La paura, dunque, sembrerebbe derivare
dall’essere percosso, abbattuto, atterrito, e infatti la paura
scuote, spaventa, come un terremoto interiore, e di fronte alla paura
si attiva la reazione del combattere o fuggire (ciò che si ritiene
nocivo).
Igor Sibaldi sostiene che il coraggio
non è l’antidoto della paura perché quando si fa qualcosa di
coraggioso, la paura ha già vinto, è già presente. Sibaldi scrive:
“Nel coraggio facciamo soltanto ciò che la paura ci impedirebbe di
fare: e in tal modo lasciamo che la paura limiti le nostre
possibilità d’azione”. Nella sua visione, la paura si non
sconfiggerebbe affrontandola, ma con la conoscenza che porterebbe a
essere più grandi di essa.
C’è qualcosa di vero in questo, ma a
mio parere c’è anche un inganno intrinseco, che parte dal
fraintendimento del concetto autentico di coraggio.
Il coraggio non è il paradigma di
violenza che l’immaginario comune associa alla sfera cavalleresca e
militaresca. Il coraggio non è mettere a rischio se stessi in uno
scontro per affrontare il nemico. Il coraggio è ben lontano dalla
stupidità che spesso governa simili sfere. Il coraggio non è
audacia (osare), non è temerarietà (agire in modo sconsiderato) e
non è ardimento (l’essere duro).
Cos’è allora il coraggio?
La parola deriva dal latino: cor =
cuore.
Coraggio è agire con cuore, è seguire
una via che abbia un cuore, è avere in sé una speciale forza
d’animo che non lascia sbigottiti di fronte al pericolo, ma neanche
induce a buttarsi a casaccio in imprese sciocche e prive di valore.
Il coraggio è una virtù ad ampio
spettro, legata al cuore e ai nobili intenti e sentimenti.
Ora vi domando, è davvero possibile,
come sostiene Sibaldi, perseguire una conoscenza che renda più
grandi della paura, SENZA il coraggio?
Secondo me, no.
E il perché è semplice: la sfera
intellettiva senza cuore (che tradotto significa una conoscenza priva
di coraggio) è sterile e spesso è proprio indotta dalla paura,
perché cerca goffamente di dominare (non di superare) la paura
irrazionale con la razionalità. Alla lunga, ciò sfocia in nozioni
che non si traducono in atti concreti, si tratta, cioè, di una
conoscenza che rimane a livello di parole, perché manca il cuore e
il coraggio per camminarle, quelle parole.
In ultima analisi, la paura si supera con il coraggio di guardare in faccia ciò che ci spaventa, sia esso un fantasma interiore o un ostacolo esteriore, con la volontà di comprendere il senso vero e profondo della paura e poi nell’ampliare la nostra conoscenza per andare oltre.
La conoscenza, da sola, può generare inetti. Inetti che parlano bene, ma razzolano a caso.
LUNA NUOVA in Bilancia 14 ottobre 2023 con eclissi solare anulare (visibile in America)
Mi dispiace non avere il tempo per fare un’analisi approfondita di questa Luna Nuova, ma due parole sull’energia in movimento ci tengo a condividerle. È un momento in cui porre a dimora i semi di ciò che vogliamo vedere germogliare con l’arrivo della primavera (è la prima Luna Nuova dell’autunno) ed è un lavoro che deve partire dal profondo, dal passato, da ciò che ci portiamo dietro sia come doni sia come limiti karmici (la Luna è congiunta al Nodo Sud), per trasformare entrambi in qualcosa di nuovo. Trasformare gli ostacoli in esperienza e superare la zona confort dei talenti. Non sempre ciò che sembra “negativo” lo è. Può diventare “positivo” se ne facciamo tesoro e lo trasformiamo in carburante per crescere e andare oltre. Non sempre ciò che sembra “positivo” lo è. Se non lo usiamo attivamente per agire, realizzare, evolvere, diventa “negativo” perché si trasforma in una zona di confort dalla quale è difficile uscire. Questa Luna ci invita a trasformare, ma prima dobbiamo valutare le zone d’ombra e quelle di luce con uguale giustizia (Luna in Bilancia) e capire come trarre il meglio da entrambe. Servono intelligenza, coraggio, amore, ponderazione. Serve la forza e l’acume di tagliare il superfluo per sottoporre i nostri sogni alla prova della fattività (Marte trigono a Saturno). Serve una vera comprensione del termine “potere” (Luna, Sole, Mercurio in quadratura a Plutone). Potere, che è il potere di fare, di agire, di manifestare la propria libertà. Potere, che non è il potere sugli altri, non è tirannide, non è manipolazione. È potere personale.
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Galant: «Dichiaro il blocco totale della Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto sarà tagliato fuori. Siamo in guerra con dei subumani e agiamo di conseguenza».
A proposito di “subumani”. Si tratta di una questione delicata. Qualsiasi nazione, anche la più piccola, si considera un “etnocentro”. È al centro, tutti gli altri sono alla periferia. Lui è il “popolo” e tutti gli altri sono solo “parzialmente popolo” perché tutti gli altri sono “sottocentro”. Greci e barbari, noi e “altri” (cioè “stupidi”, ma si può anche dire “non-me”), induisti e intoccabili. E, naturalmente, ebrei e “goyim”. I goyim non sono “del tutto umani” e se si comportano male, non sono affatto “umani”.
Quando noi stessi rientriamo nella categoria dei “subumani” o “sottouomini”, ci sentiamo feriti. Siamo noi che dovremmo essere al centro e non importa chi siamo: qualsiasi nazione è etnocentrica.
L’Occidente ha cercato di allontanarsi da una logica così diretta e piuttosto brutale, seppur non sia andato lontano, sono cambiati solo i criteri dell'”etnocentro occidentale”. Ora l’etnocentro è costituito dai globalisti liberali di sinistra (cole il club di Soros) e tutti gli altri sono “subumani”, cioè “illiberali”. Se sono “illiberali”, devono essere sterminati. La Cancel Cultire è una nuova pratica di vecchi genocidi.Nella guerra israelo-palestinese si sovrappongono diversi etnocentrismi. Gli israeliani sono più arcaici e diretti: non ebrei = goyim = non umani.
L’Occidente è un po’ più complesso: i palestinesi non sono liberali = barbari = subumani. I palestinesi, ovviamente, sono anche etnocentrici: ebrei = occupanti, artefici del genocidio arabo, stupratori (non musulmani!) = “subumani” (almeno). Nessuna cultura è riuscita a liberarsi completamente di questo atteggiamento e, quando scoppia un conflitto acuto, l’etnocentro si risveglia contro ogni previsione, incrinando i cliché culturali più superficiali.
L’unica cosa che varia è l’autoriflessione: se si accetta l’etnocentrismo come un dato di fatto, si può lavorare con esso, domarlo o mitigarlo, ma non appena si dichiara e, soprattutto, si crede che l’etnocentrismo sia stato superato, esso esplode immediatamente con rinnovato vigore. È una questione di consapevolezza e di capacità di controllare l’etnocentrismo, non della sua abolizione. Può essere abolito solo insieme all’essere umano. Questo è ciò a cui i transumanisti stanno gradualmente arrivando con lo slogan “solo se non c’è la guerra”. Perché non ci sia la guerra, è necessario distruggere l’umanità, o meglio, è necessaria una “guerra totale”. È abbastanza ovvio che non sto giustificando nessuno, piuttosto sto condannando – specie gli eccessi – attraverso la spiegazione.
I russi, tra l’altro, gestiscono l’etnocentrismo in modo molto sottile. Sì, anche noi ci consideriamo il centro del mondo: la Terza Roma, la Santa Russia, siamo una nazione portatrice di Dio. Sì, abbiamo dei nemici e probabilmente sono posseduti dal diavolo, ma allo stesso tempo il nostro etnocentro è aperto. Siamo abbastanza flessibili e molto poco inclini a disumanizzare il nemico fino in fondo, gli lasciamo sempre qualcosa di umano.
Qualsiasi linearità è soggetta a un’escalation di violenza e all’incapacità di fermarla o almeno di controllarla a un certo punto. Ecco perché l’etnocentrismo russo è non lineare. Un nemico sconfitto, ad esempio, in determinate circostanze può diventare russo.
Pensate a un cacciatore che passa ore appostato per trovare, catturare e uccidere la propria preda con lo scopo di sfamare se stesso e la propria famiglia.
Pensate alle famiglie che allevano galline per le loro uova e, ogni tanto, tirano il collo a una di esse.
In questi atti c’è un contatto diretto con l’azione e le sue conseguenze, c’è compartecipazione emotiva. E infatti, un vero cacciatore non fa strage di animali e un piccolo allevatore sacrifica la gallina più vecchia solo quando necessario. Con la consapevolezza che stanno uccidendo, che stanno togliendo la vita a una creatura.
Ora pensate agli allevamenti intensivi e ai mattatoi, pensate al distacco emotivo con cui gli animali vengono allevati e poi uccisi per mezzo di macchinari appositi.
In questo modo di operare si crea un filtro tra l’azione dell’uomo e il suo impatto sulla sua struttura psichica e sull’ambiente in generale e quasi nessuno si rende conto di ciò che sta facendo davvero. L’atto si spersonalizza, diventa meccanico, potenzialmente disumano.
Ora, io non sono contrario alla tecnica, tutt’altro, ma se la tecnica si sviluppa senza etica, senza rispetto, senza consapevolezza, la deriva è dietro l’angolo. E a nulla vale creare schiere di ambientalisti e animalisti e vegetariani e vegani… perché neanche queste persone capiscono veramente qual è il focus della questione. Si trasformano semplicemente in nuovi fanatici che si contrappongono a fanatici della “tecnologia da strage”.
E lo stesso discorso si applica alla guerra. Per quanto brutta sia l’idea di uno scontro corpo a corpo, resta il fatto che, nel ferire e uccidere, l’uomo ha coscienza di ciò che sta facendo. Ma quando si pilotano aerei o si manovrano droni a distanza o si dirige qualsiasi altra diavoleria che sgancia bombe o proiettili su luoghi e persone, si perde il contatto emotivo e tutto diventa finzione.
Ecco, è questa la tecnologia che dovremmo ripensare: quella che fa perdere il contatto con se stessi e il proprio mondo.
Puntata interessante sul canale de Il Veritiero di Matt Martini, ricca e che scorre veloce. Ottimi gli interventi di tutti e tre: Matt, Dana e Veronica (che spiega in modo molto chiaro l’enigmatica Cina). Golosa, per me, la parte dedicata all’astrologia mondiale, che non mi stanco mai di arricchire di nuovi spunti.
Aggiungo una piccola considerazione sulla previsione dei terremoti attraverso la lettura degli astri, argomento emerso dalla richiesta di un ascoltatore in merito alle scosse ai Campi Flegrei. I terremoti non sono fenomeni semplici da prevedere, soprattutto in funzione dell’indice della loro pericolosità e della precisa ubicazione.In generale, occorre analizzare la Luna, Marte, Saturno e Mercurio. In parte anche Urano (in relazione all’instabilità) e Plutone (in relazione al sottosuolo), ma soltanto se sono in precisi segni o case e se creano aspetti stretti con pianeti veloci, altrimenti si tratta di probabilità che la terra tremi in senso esteso. A livello mondiale si possono osservare i segni del Toro (terra) e dello Scorpione (sottoterra), a livello locale anche le rispettive case, ma occorre erigere il tema della località specifica.
Da alcuni anni, con Urano in Toro, il rischio di movimenti sotterranei è elevato e piuttosto esteso nel tempo e nello spazio.
Temibile può essere l’opposizione che Marte e Mercurio creano dallo Scorpione a partire circa dal 25-26 ottobre. Specie il 28 con la Luna piena in Toro e nei giorni a seguire. Magari si tratta solo di scosse lievi e senza gravi conseguenze, ma il pericolo non si può escludere. Determinare il luogo preciso, però, è un lavoro imponente e richiede molto tempo e ampi margini di errore.
Sempre per la previsione dei terremoti, vale la pena di controllare eventuali congiunzioni con alcune stelle fisse.
E poi c’è da considerare l’antiscia. Per esempio, il 15 luglio 2023, quando è stata registrata una scossa nel Lazio, Mercurio e Urano erano in antiscia tra loro (il primo in Leone e il secondo in Toro).
Il 10 ottobre 2023, per fare un altro esempio che potremo verificare a breve, Marte in Bilancia e Saturno in Pesci saranno in antiscia tra loro. Inoltre, Marte sarà in quadratura a Plutone e la Luna in opposizione a Saturno. L’indicazione è però estesa all’intera Terra e non a regioni specifiche.
Staremo a vedere e, ovviamente, incrociamo le dita che non succeda nulla di grave.
Molti pensano che la cosiddetta “cancel culture” e la conseguente “riscrittura della storia” sia un fenomeno moderno, forse addirittura post moderno.
Molti, che vedono nel libro di George
Orwell un testo profetico, pensano che l’autore abbia guardato in una
sorta di sfera di cristallo anche quando ha assegnato al suo
protagonista, Wiston Smith, il noioso lavoro di riscrivere la storia
per promuovere la versione allineata al pensiero dominante del
governo dell’Oceania.
Ma non è così.
La Storia è stata scritta e riscritta
molte volte con l’intento di adeguare il pensiero della popolazione
alle linee guida dominanti o per costruirsi privilegi e diritti, e
quella che abbiamo imparato a scuola non fa eccezione.
Nel Medioevo, per esempio, si ravvisa
uno dei periodi più attivi in tale operazione.
Scrive Paolo Preto: «Il Medioevo,
com’è noto, è per eccellenza l’età dell’oro dei falsi; oltre
alla celebre Donazione di Costantino, alle false Decretali
pseudo-isidoriane, alle innumerevoli cronache, reliquie, agiografie,
si staglia l’imponente mole dei falsi documenti confezionati, per
lo più nei monasteri, per retrodatare, confermare o semplicemente
inventare fondazioni, diritti di possesso di terre, privilegi
fiscali, esenzioni giurisdizionali. Un convegno internazionale sui
falsi medievali, organizzato nel 1986 a Monaco dalla società dei
Monumenta Germaniae Historica, ha prodotto cinque imponenti volumi di
relazioni; ovunque, in Italia e in Europa, la ricerca storica
sull’età medievale si è posta nel passato, e si pone tutt’ora,
come necessità preliminare l’individuazione e la separazione dei
documenti falsi da quelli autentici».
E non si cada nell’errore di pensare
che l’opera di ricerca citata, ossia quella di valutare
preliminarmente i falsi e gli autentici, sia esente da vizi.
Interessante anche la valutazione di
Giuseppe Palazzolo: «Se nel Medioevo la falsificazione aveva come
scopo la riconferma della fiducia in un ordine riconosciuto, la
funzione della falsificazione contemporanea consiste nel creare
sfiducia e disordine, e gioca non sulla solidità di fronte allo
scrutinio della filologia, ma sull’accumulazione: “è la quantità
delle falsificazioni riconoscibili come tali che funziona come
maschera, perché tende a rendere inattendibile ogni verità”
[Umberto Eco, La falsificazione nel Medioevo]».
Quindi anche Umberto Eco era
perfettamente consapevole delle falsificazioni storiche e di quelle
odierne e della differenza tra le due.
Scrive ancora Palazzolo: «L’avvento
dei mass media ha esasperato questa dinamica, come Eco aveva avuto
modo di dimostrare nel famoso ‘esperimento Vaduz’, un’indagine
sperimentale affidata nel 1974 all’Istituto Gemelli di Milano e
realizzata insieme ad Aldo Grasso, in cui venivano analizzate le
reazioni di una comunità di telespettatori di fronte a tre diversi
testi a carattere documentario-giornalistico su un avvenimento
‘falso’ ma presentato come plausibile: gli scontri
politico-religiosi – tra valdesi e anabattisti – accaduti a
Vaduz, capitale del Liechtenstein. La veridicità del racconto è
promossa anche dalla compresenza di filmati e foto, montati
attraverso un sapiente uso di inquadrature, musiche, sottotitoli, ma
in ultima analisi è resa possibile dalla mancanza di un controllo
‘inter-testuale’ da parte del destinatario dell’informazione:
Eco richiama l’attenzione sulla necessità di una pedagogia che
educhi a sottoporre qualunque messaggio a “una sorta di
interrogatorio incrociato” e a leggere le immagini in maniera
“critica e non magica”».
Non è ciò a cui stiamo assistendo in
maniera scandalosamente evidente da anni? Eppure non è cosa nuova è,
proprio come ho detto, scandalosamente evidente.
Il tipo di inclusione che stanno propagandando è illogico. Inclusivo con logica e buon senso vuol dire che ogni essere umano è accolto nella società. Accolto con le proprie caratteristiche e nel rispetto delle sue peculiarità, dei suoi valori umani, religiosi, spirituali, delle sue scelte; purché non nuoccia a nessuno. Se il tipo di inclusione illogico, violento e nocivo che viene propagandato viene accolto con favore da qualcuno, vuol dire che questi “qualcuno” sono fanatici che non vogliono la libertà e il rispetto per tutti, ma vogliono imporre il loro modo di vedere, di vivere, di scegliere.